Lunga notte di Medea matinée - GLOBO TEATRO FESTIVAL

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Spettacoli > Teatro Ragazzi II Edizione Invernale

Giovedì 9 APRILE ore 10.00 - matinée per studenti
Teatro Francesco Cilea
Italia 90'

LUNGA NOTTE DI MEDEA
di Corrado Alvaro
regia  Americo Melchionda
con Maria Milasi (Medea)
Anna Maria De Luca (Nosside)
Hal Yamanouchi (Creonte)
Americo Melchionda (Giasone)
Alessio Praticò (Egeo)
Giada Vadalà (Layalè)
Irene Polimeni (Perseide)
Francesco Spinelli (Il Nunzio)
Aidai Uranbekova (Creusa)
Chiaraluce Fiorito, Maria Marino  (Donne Ammantellate)
Marco Marra, Domenico Iaria (Figli di Medea)
Adriana Eloise (Guardiano di notte)
F. Aricò, A. Borruto, T. Caragnano, T. Caridi, M. Fedele, D. Foti, V. Gallo, G. Guido, F. Lombardo, S. Rizzo (Popolo di Corinto)
musiche originali Aldo Gurnari 
costumi Maria Concetta Riso 
progetto scenografico Virginia Melis 
disegno luci Gennaro Dolce
Inserti video Ram Film Collaboratori video Creonte | Giasone | Creusa Emiliano Barbucci, Emanuele Milasi collaboratori video Popolo di Corinto | Ammantellate | Figli di Medea Guillermo Laurin Salazar, Christian Maria Parisi 
regia inserti video Americo Melchionda
realizzazione scene MG Company, Gabriele Lazzaro, Oscar Morabito, Luigi Catanoso
direttore di scena Maurizio Spicuzza - fonico Antonino Neri - liveset video Gianni Brancati
produzione Officine Arti | Globo Teatro Festival

La rivisitazione del mito di Medea in Corrado Alvaro è il dramma della condizione dello straniero. L’incomunicabilità tra culture differenti genera tensioni profonde creando lacerazioni incolmabili; se poi lo straniero è una donna il conflitto diventa ostilità tra una società patriarcale e una condizione femminile che rivendica il suo ruolo di madre e sposa.

Corrado Alvaro, che ha scritto quest’opera straordinaria dopo la seconda guerra mondiale, compie un processo di universalizzazione della tragedia: anche se colloca il dramma a Corinto come vuole la tradizione, la storia potrebbe svolgersi, infatti, ovunque e in ogni epoca. La cultura di una società che si considera progredita, teme uno stato primitivo che ritiene di aver superato (Corinto/Colchide); un personaggio (Creonte) che è riuscito ad esercitare sugli altri il suo potere, adesso non può che guardare con sospetto chiunque possa sovvertire la stabilità del suo governo e la regalità della sua discendenza; una comunità (il popolo di Corinto) che ha conquistato un certo benessere teme qualsiasi intromissione esterna che possa distruggere all’interno delle proprie mura l’equilibrio conquistato. 

Il gesto ultimo di Medea, l’infanticidio, viene visto così in Corrado Alvaro come la drammatica conseguenza dell’odio razziale e dell’intolleranza umana. Un’intolleranza tanto inconcepibile quanto, purtroppo, estremamente attuale. Medea compie il terribile gesto finale non spinta dall’odio e da una vendetta sterminatrice ma per salvare i suoi figli “dall’ira del popolo”. Un popolo che vede nella “misteriosa Medea “ una catastrofica minaccia per tutta la città, un popolo che accoglie l’eroe Giasone precludendo però alla “barbara” parente della “celeste vagabonda” ogni possibilità di riscatto e integrazione e dimenticando che la stessa “barbara” aveva fatto ricca la Grecia tradendo la propria patria e aiutando l’impresa dell’Argo. Ma i tempi sono cambiati. 

La paura adesso genera un sentimento di odio collettivo che scaccia il diverso. “Il mio nome è grande, la tua potenza è temuta. Il solo rimedio è separarci per il bene di tutti e due”: per Giasone il tempo delle grandi imprese è terminato, adesso è pronto ad abbandonare il suo stato di “eroe” e a piegarsi alla miserabile politica, e non importa se per far questo dovrà abbandonare Medea.

Dal canto suo Medea pur trascinandosi un passato tanto glorioso quanto carico di gesti atroci e convivendo con un presente tradito da rimorsi e angosce profetiche, in nome dell’amore che la unisce a Giasone, quello stesso amore di cui si serve per giustificare le sue terribili azioni del passato, in nome di quell’incontro esistenziale che ha compiuto il suo destino, volontariamente si fa “ammaestrare” per aspirare ad una civile integrazione in quella che considera la sua nuova patria: Corinto. Per far questo impara diligentemente “tutto quanto può piacere a un greco; l’amore delle piccole cose delicate e gentili, e la pietà, e il sorriso, e il rispetto degli altri…” dimenticando la selvaggia Colchide. Ben presto si accorge però che la “ Il male colpisce di più chi crede nel bene e non chi è abituato a credere nel bene per comodità.” e si chiede cosa significhi veramente “essere civili”. La sua umanizzazione l’ha allontanata dai suoi poteri, quei poteri che per sé stessa, nel momento estremo della necessità , non valgono a nulla. Medea adesso sa che verrà presto un giorno in cui non potrà “operare altro che il bene e il male di cui tutti sono capaci”.

Foto dello spettacolo
 
 

trailer e foto dal backstage
 
 
Eppure questo non basta, tutti la temono e Medea non riesce a farsene una ragione: “Ma chi temerà ancora Medea madre?” ora che si rivolge alla “celeste vagabonda” soltanto per avere “…una patria lontana dagli uomini, dalle contese dei re, dalle gelosie delle città, dall’invidia degli uomini. Una casa in cui io sia padrona di me e dei miei figli, e accanto un fiumicello per confine.” Alla fine sarà Medea ad avere paura di quel mondo ritenuto “civile”, di quella nuova patria che senza scrupoli scaccia l’esule che chiede invece asilo. La trasformazione di Medea non può bastare neanche a Creonte. In una società patriarcale senza eredi di parte maschile, Creonte non può non temere la presenza di un eroe della Grecia com’è Giasone e vuole farsene un alleato incoraggiando le sue nozze con Creusa e garantendosi quell’agognata discendenza che gli assicurerà il potere anche per il futuro. Medea quindi deve essere bandita, Giasone deve diventare genero del re, la città potrà così entrare in un'altra era, un nuovo equilibrio che garantisca la stabilità raggiunta. Giasone è greco, è adesso tornato nella sua patria e rientra nella “sua famiglia umana” e non importa se per far questo dovrà ripudiare Medea e sposare Creusa. 

Il popolo vuole vivere lontano dalle preoccupazioni del passato, afferma Creonte additando ai cittadini di Corinto la decisione presa: “La gente teme. Il mondo sta diventando troppo grande. Ci sono troppi audaci che bramano i regni altrui. E ora il popolo vuole vivere in pace, col suo lavoro, tra le mura domestiche e il muricciolo del suo campo [...] la gente vuole starsene tranquilla. E più si aprono le vie del mondo, più la gente si chiude. Più grande è la terra, più limitata la gente”.
Anche Giasone giustifica il suo atto facendosi scudo con il popolo. “La potenza è come il male... Ti spingono in alto, per forza. Per forza devi salire, fino alla vertigine [...] E non sai bene dove ti crocifiggeranno. Ho paura Medea, ma non di te. Ho paura di questa forza che mi spinge, contro me stesso. Esito. Ma vado avanti. Ho paura. Ma salgo…”. Ora che le azioni eroiche sono finite egli deve decidere se, nonostante il suo valoroso nome, vivere la sua vita miseramente restando insieme a Medea “emarginata” da tutti, o andare avanti piegandosi alla politica. “ Ma regnerò. Sarò potente. Non sarò più il ricordo di un eroe. Ma un re.”

L’accoglienza e la protezione viene negata a Medea anche dall’amico Egeo “ Essere duri di cuore è ormai la sola cosa che hanno in comune i popoli ”. Ogni via di scampo è preclusa. Quei doni offerti da Medea a Creusa, ultimo gesto di una Medea “madre” che tenta di conquistare una nuova patria almeno per i suoi figli, vengono visti con sospetto da Creonte e scatenano l’infondata e terribile accusa finale del popolo che si scaglia contro “i figli della strega”. Il potere costituito ha annientato quel focolare domestico che in un paese civile dovrebbe essere sacro . L’ira del popolo così dilaga, scardina la casa di Meda unico rifugio della madre e dei figli: li vuole eliminare definitivamente per non temere più nulla. E Contro l’imminente atroce epilogo Medea “madre” si macchia del delitto più efferato.
Note di Regia
Tutto succede in una Lunga Notte. Il tempo scandisce l’attesa di Medea. L’attesa del rientro di Giasone che per la prima volta si allontana di sera per recarsi ospite alla reggia di Creonte. Al tramonto è un’attesa carica di speranza, “…e fate preparare una splendida tavola per la cena”, dice Medea a Layalé e Perseide. Medea vuole accogliere con un’atmosfera di festa il ritorno di Giasone. Ma presto inquietanti premonizioni iniziano ad echeggiare il tradimento di Giasone. La “celeste vagabonda” incalza con il suo chiarore lunare per preparare una grigia alba di abbandono. E il tempo scorre sempre più cupo e doloroso finché la notte insonne si apre al tragico preludio di morte.
Il dramma dell’esclusione che può generare in ogni momento e in ogni luogo atti estremi e disperati, è fatalmente e prepotentemente attuale. I corsi e ricorsi storici ci insegnano a rimanere vigili e ad imparare ad allontanarci dagli errori del passato, da quegli atti di cieca intolleranza che in ogni tempo hanno disumanizzato l’uomo trascinandolo nell’aberrante epilogo della guerra. La scrittura potente di Corrado Alvaro all’indomani della seconda guerra mondiale, rende la disperazione della tragica figura di Medea “umana” , cucendole addosso la condizione di esule indesiderata su cui si scaglia la cecità di un popolo che legittimato dal potere costituito dà forma ai suoi timori nel modo più efferato. La sicurezza del regno e la sua tranquillità diventano il capo espiatorio di Creonte che scaccia Medea , la barbara temuta che potrebbe minare con la discendenza di Giasone il potere costituito di Creonte. Creonte accoglie Giasone nel suo regno, la società patriarcale che presiede pretende un erede maschile e quale fama più grande sarebbe per Creonte far sposare la figlia Creusa al più illustre eroe della Grecia per garantirsi una prestigiosa discendenza! 

 Il ripudio di Medea è soltanto un particolare a cui Giasone si piega per scalare il successo e trasformarsi da eroe a futuro re. Quale paese civile, si chiede Medea, può giustificare l’abbandono della sposa e dei figli, lo spegnimento del focolare domestico, la distruzione di una casa consacrata da una famiglia per ottenere un regno. Cos’è essere civili? Ed essere Umani? I poteri sovrumani di Medea che tutti temono non possono niente per sé stessa. Medea crede di “abitare” una nuova patria e trasforma sé stessa per tentare un’integrazione. Scacciata da Creonte, si rivolge in supplica al fuoco di Prometeo per ottenere non più cose tremende ma soltanto una nuova patria, un nuovo focolare domestico per i suoi figli, ma la fiamma divina non gli risponde più. “ Non rispondi più a Medea? Non puoi, tu dici. Questo può farlo soltanto l’uomo, tu dici. Gli Dei hanno lasciato questo all’uomo, gli Dei rispettano l’uomo, sta all’uomo rispettarsi dello stesso rispetto degli Dei. 

Ti puoi distruggere, ma vivere umanamente può soltanto l’uomo”. Questo, a mio avviso, è il grande messaggio dell’opera di Corrado Alvaro. L’uomo deve tornare a vivere umanamente superando deliranti nazionalismi e radicalismi insulsi che trascinano il mondo verso atti di estrema barbarie. E ancora Medea ad Egeo: “Il più bel vanto di un regno era quello di ospitare gli esuli dei regni vicini invisi ai re, pur rimanendo i re in pace tra di loro”. E L’infanticidio nella Medea di Corrado Alvaro diventa l’atto disperato di una madre che non vuole consegnare i propri figli alla violenza cieca dell’intolleranza del popolo ospitante.

Ho voluto portare in scena lo straordinario testo dello scrittore calabrese Corrado Alvaro con l’aiuto di mezzi espressivi eterogenei che siano in grado di correre organicamente alla sua resa emozionale. Lo spettacolo è sviluppato attraverso una commistione stilistica di prosa e filmati, una simultanea fusione che porta alla ribalta anche alcuni personaggi nel testo presenti ma non rappresentati ( come Creusa e il Popolo di Corinto) oppure la lacerazione dell’attesa di Medea che genera nella mente della protagonista visioni premonitrici e flashback di ritorno o ancora i figli di Medea i cui primi piani e dettagli colgono lo stato dell’età dell’innocenza ancora ignara della crudeltà a cui l’uomo può arrivare. La violenza del popolo di Corinto spinta dal sospetto e dalla paura avrà occhi e volti di odio massificato, che sbuca a sovrastare la disperazione di una donna. Il potere incombe in modo disumano: Creonte, Le Donne Ammantellate, appaiono in video investendo quasi a distanza ma perentoriamente il mondo privato della casa di Medea fino a sradicarne le fondamenta. Le Donne Ammantellate sono i crudeli emissari di una fantomatica e devastante legge selettiva che decide chi cade e chi resta “ … è peggio per chi cade più larghi si starà”, spengono il focolare simbolo della famiglia e ne decretano l’eliminazione. 

La freddezza spietata di Creonte diventa l’immagine della folle determinazione della sovranità assoluta mascherata in alcuni tratti da una politicante conciliazione dissimulatrice per poi sfociare sul finale nella solitudine sconcertante a cui è destinato ogni “dittatore” davanti alla constatazione della sua disgregazione. E dentro la casa Medea che da carnefice del passato diventa vittima dell’abbandono, e poi la Nutrice, Layalé e Perseide che si stringono a lei e che diventano donne testimoni della lacerazione di un focolare e della tragica scelta di Medea assurta come atto estremo di difesa e protezione.

Nell’esprimere stilisticamente il doloroso stato di emarginazione dei protagonisti, lo spettacolo sviluppa le simbologie e le atmosfere presenti lungo tutto il testo alvariano : la luna “celeste vagabonda”, il focolare, la leonessa, lo scorrere inesorabile del tempo, tutti elementi che non saranno lasciati al caso ma che saranno rimarcati attraverso ricerche sonore e visive. Per i canti previsti dall’autore (il Canto Nuziale, il Canto dei Marinai), la scelta di utilizzare sonorità grecaniche, affidandone la composizione originale ad un autore musicale da anni attivo nello studio e nella ricerca musicale della cultura grecanica, nasce dal tentativo di evocare, nell’universalità del dramma, antiche suggestioni territoriali valorizzando per mezzo anche di alcuni innesti linguistici ( Donne Ammantellate, Guardiano di Notte) una preziosa minoranza linguistica calabrese. Una produzione calabrese vede uniti attori di grande spessore ed esperienza a giovani realtà artistiche di talento per rendere l’unicità e la verosimiglianza di una grande opera teatrale come “Lunga Notte di Medea” di Corrado Alvaro.


Officine Arti nasce nel 2008 a Reggio Calabria dalla collaborazione di attori, registi ed operatori culturali di pluriennale esperienza settoriale in Italia e all’estero, che intendono creare nuove sinergie produttive nel proprio territorio di provenienza diffondendo le arti performative del teatro attraverso percorsi di ricerca e di innovazione. In particolar modo le sue produzioni sviluppano contaminazioni tra prosa e video e offrono chiavi di lettura diversificate di classici del teatro e di teatro contemporaneo. Nei quattro anni di attività Officine Jonike Arti ha prodotto diversi spettacoli di successo (1908 ore 05:20 Terremoto, La Tragedia degli Alberti: dite il suo nome, Le Metamorfosi da Ovidio, Elektra di Hugo Von Hofmannsthal, L’Orso di Cechov, Cecè di L. Pirandello) alimentando nuove drammaturgie in un percorso di scoperta di risorse artistiche ed interpretative. Tra le attività cinematografiche Officine Jonike Arti ha condiviso il progetto nazionale del film collettivo no profit All Human Rights For All, lungometraggio prodotto dall’Associazione Rinascimento, Settimaluna, Rai Cinema sotto l’egida delle Nazioni Unite per il sessantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nello specifico ha coprodotto il cortometraggio Articolo 23 diretto dal maestro Vittorio De Seta con Anteprima Nazionale presso il Teatro Argentina di Roma.
 
 
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